Capitolo Primo: La fine

Se ora mi trovo in questa stanza vuota, sprofondato in una morbida poltrona, paziente della donna che mi sta davanti, è solo colpa mia.

Le pareti che delimitano la stanza sono bianche e fredde, tanto da ricordarmi i suoi occhi spenti, privi di emozioni, privi di sentimenti. Alla mia sinistra vi è una grande vetrata affacciata su una cascata che comincia a scorrere a molti metri più in alto scivolando su una roccia magmatica grigia, granito probabilmente. Questo luogo genera una grande confusione emotiva, mi sento calmo e tranquillo, ma allo stesso tempo triste, non credo sia un’architettura adatta a un tipo di luogo come questo. Rimango ipnotizzato dallo scorrere ininterrotto dell’acqua sulla pietra.

«Ti va di raccontarmi cosa è successo? Dall’inizio.» È la psicologa.

La studio attentamente per un attimo. È immobile, simula un sorriso cercando di farmi sentire a mio agio. «Non li legge i giornali?» Rispondo.

«Mi hanno già raccontato tutto i tuoi superiori, non ne avrei avuto bisogno. Jonathan, io so esattamente cosa è successo, ma voglio sentirmelo dire da te. Non tenerti dentro tutto il dolore provocato dagli ultimi avvenimenti, liberati da questo peso, parlane con me.» Ribatte freddamente.

Allora decido di raccontargli la mia storia, solamente perché rimarremo in questa stanza per due ore, quindi tanto vale cercare di far passare il tempo più velocemente.

«D’accordo.»

«Bene, comincia pure dal momento in cui hai rivisto dopo molto tempo il tuo… Il tuo migliore amico.»
Mi si ghiaccia il cuore al solo pensiero che lui non c’è più e peggio ancora, che tutto ciò è stata una conseguenza delle mie azioni. Sento le lacrime gonfiarmi gli occhi, ma riesco a trattenerle. Noto un movimento veloce del suo sopracciglio, lei riesce a percepire il mio dolore.

«Stavo lavorando a un caso, il caso più importante e complesso di tutta la mia carriera…»

2 mesi prima…

Erano già passati quattordici giorni dal primo omicidio, e ancora non avevamo un sospettato. Tutti i tredici omicidi commessi nei giorni precedenti erano sicuramente frutto della stessa persona, l’arma del delitto era sempre la stessa, ma non riuscivo a trovare un nesso logico tra loro. Sembrava che l’assassino scegliesse a caso le sue vittime, un pazzo che gioca con le vite delle persone per puro divertimento. I delitti erano perfetti e puliti, l’assassino non lasciava alcuna traccia.

Quel giorno mi stavo scervellando sulla mia scrivania, sfogliando i fascicoli del caso e aspettando che Walter entrasse dalla porta di fronte annunciandomi il quattordicesimo omicidio. Sentii bussare.

«Avanti.»

La porta si spalancò ed io non potetti credere ai miei occhi, non era il mio assistente, era Jack, un mio amico dei tempi dell’università, il migliore. Frequentavamo lo stesso istituto universitario ma io studiavo criminologia mentre lui matematica. Non ci vedevamo da un paio di anni, era partito per l’Alaska per studiare il comportamento di alcuni animali servendosi della matematica e di formule da lui create. Ero felicissimo di vederlo, era l’unica persona su cui facevo affidamento, lui era l’unico che mi capiva.

«Fratello mio!» Esclamò lui.

«Che sorpresa! Sono davvero felice di rivederti. La tua spedizione è andata bene? Ne è valsa la pena?»

«Certamente, ho scoperto molto sugli animali del Nord e sono riuscito a confermare alcune mie teorie. Ma tutto questo è poco interessante rispetto a quello che ho per te.»

Iniziò a frugare nelle tasche alla ricerca di qualcosa e ne tirò fuori un pezzo di carta con sopra un’equazione:

«Che cosa è? Non capisco.» Dissi.

«L’assassino che stai cercando, Jonathan, è un matematico e questa è la funzione che sta usando per determinare a che ora ucciderà la propria vittima in funzione del giorno numero g.» Spiegò lui.

«Che cosa? Non ho capito una sola parola di quello che hai detto.» Ero confuso.
«Proviamo con un esempio: il terzo giorno a che ora è avvenuto l’omicidio?»
«Poco dopo le 22.» Risposi.
«Bene prova a sostituire i valori g con 3 e il risultato sarà circa 22,07. Se provi a farlo con tutti i giorni che sono passati, quindi dall’uno al 13, troverai esattamente l’ora in cui è stato commesso l’omicidio.»

«Incredibile! E come ci sei riuscito?» Ero sbalordito.

«Ti ricordo che sono un matematico, riconosco le funzioni trigonometriche quando le vedo, anche quelle composte più complicate.»

«Okay, ma i numeri hanno un significato o sono casuali?»

«Dunque, il 6 è l’ampiezza e se fosse più alto il risultato potrebbe sforare le 24 ore ordinarie oppure andare sotto zero, il 12 alla fine serve a traslare la funzione di 12 per ottenere valori tra 0 e 24, in caso contrario troveremmo risultati tra -12 e 12. Infine il 2 e il 4 sinceramente non so cosa possano significare, forse è un indizio, magari l’assassino vuole dirci qualcosa su di lui.»

«Aspetta un attimo, quindi possiamo scoprire quando avverrà il prossimo omicidio?»

«Ma certo e l’ho già calcolato, purtroppo, se la mia funzione è esatta, l’omicidio è già accaduto. Se calcoliamo t(14) troviamo 13,84, dato che sono le 15:30 è successo poco più di un’ora e mezza fa.»

«Se solo sapessimo il luogo…»

«Lo sappiamo: Via Cesare»

«E questo come lo sai?» Chiesi con aria sospetta.

«Semplice, ho stampato una cartina 1:10000 della città e poi ho segnato tutti i punti dove sono avvenuti gli omicidi, così facendo ho scoperto che l’assassino sta creando una spirale aurea e con una legge ben precisa si riescono a trovare i punti degli omicidi successivi.»

«Va bene non dirmi altro vado a controllare con il mio collega, ci sentiamo questa sera cosi potremo organizzarci per acciuffare l’assassino domani. Grazie mille Jack.»

«Di nulla, per te farei qualunque cosa lo sai.»

Walter ed io arrivammo in Via Cesare in una mezzoretta, c’erano molte case e avremmo dovuto controllarle tutte, purtroppo il metodo di Jack non ci forniva il luogo preciso, ma solamente una posizione generica entro la quale doveva essere avvenuto il fatto. Insieme al mio collega controllammo ogni casa della via, finché trovammo la porta del 24B socchiusa. Strano, ancora quei due numeri, pensandoci bene li avevo visti spesso negli omicidi precedenti, chissà cosa significavano.

«Signore, entriamo?» chiese Walter.

«Sì, certo.» Risposi.

Aprii la porta lentamente e feci un cenno a Walter di controllare di sopra. Perlustrai tutto il piano terreno ma non trovai nulla.

«Signore, venga a vedere!» Gridò Walter.

Corsi su per la rampa di scale e trovai una donna stesa a terra a fianco di una culla e all’interno vi era una bambina piccola, è la figlia quasi sicuramente. Quattordicesimo omicidio, sempre uguale, un colpo alla testa. Mi chiesi come si potesse essere tanto crudeli da uccidere una donna davanti alla propria figlia, la rabbia mi percosse dalla testa ai piedi. Rassegnato, chiamai la scientifica e prendendo qualche appunto andai alla centrale con Walter. Finito il verbale, congedai il mio collega e rimasi solo in ufficio a meditare. La sera stessa chiamai Jack.

«Pronto?»

«Ciao Jack, come va?»

«Tutto bene, e tu? L’avete trovato alla fine?» Chiese lui.

«Già purtroppo le tue predizioni erano esatte»

«Mi dispiace… Senti ora ho da fare scusami, vediamoci domani alle nove nel tuo ufficio. Ho studiato un piano perfetto per prendere l’assassino, domani ti mostrerò i dettagli.»

«D’accordo, a domani allora. Grazie ancora per il prezioso aiuto.»

«È un dovere per me aiutare un vecchio amico, buona serata Jonathan.» Attaccò subito dopo.

Il giorno seguente, puntuale, Jack si presentò in ufficio alle 9:00. Aveva uno zainetto con lui, ero curioso di

sapere cosa si fosse portato un tipo strano quanto lui.

«Siamo al centro della spirale!»

«Cosa?»

«Oggi l’omicida commetterà l’ultimo crimine.»

«A che ora ucciderà?» Chiesi frettolosamente.

«Avverrà alle 13:10, ma questa volta non penso che ucciderà, o almeno non sarà quello il suo obiettivo.»

«E cosa farà dunque?»

«Rapinerà una banca. È esattamente al centro della spirale che sta creando.»

Mi illustrò il luogo dove sarebbe avvenuto il colpo e mi espose le sue otto teorie secondo le quali avrebbe potuto agire l’omicida seriale. Mi spiegò due volte il piano che aveva ideato per contrastare ogni possibile mossa o variante degli otto piani. Mentre parlava mi sentivo fiero di lui, fiero di conoscere una persona tanto perspicace. Forse un logico-matematico non sapeva maneggiare una pistola, ma a quanto pare, in determinate situazioni, poteva rivelarsi molto più utile di un investigatore con una laurea da criminologo. Lo ringraziai e cominciai a organizzare i movimenti con le forze di polizia locali. Il piano era semplice ma efficace, io sarei rimasto nel salone principale con le due guardie in borghese per non destare sospetti, in attesa dell’ora X; fuori dall’edificio ci avrebbero attesi due furgoni pieni dei nostri uomini migliori e Jack sarebbe rimasto nel caveau con altri due poliziotti nel caso si fosse dovuto attuare il piano numero cinque. Era l’una del pomeriggio, mancava un’ora e un quarto. Ero molto teso, nonostante la preparazione accurata di Jack non riuscivo a calmarmi. Quell’uomo era un pazzo, uccideva per caso.

«Signore ci sono novità!» Era la voce di Walter.

Mi voltai in maniera più discreta possibile.

«Che c’è?» Bisbigliai. «Siamo nel bel mezzo di un’operazione molto importante.»

«Si, ne sono al corrente mi scusi, ma qualcuno le ha lasciato qualcosa sulla scrivania. Mi è sembrato molto sospetto. Ieri mentre facevamo rapporto in centrale, ha citato molte volte il numero 24, vero?»

Goffamente estrasse una lettera dal taschino interno della giacca.

«Penso che questa sia da parte dell’assassino.»

Sulla busta c’era scritto il numero 24 a matita. Mi sedetti sul divano. Dovevo riprendermi. Quel caso si faceva sempre più intrigato e complicato, cosa avrebbe potuto contenere quella busta? La aprii e il contenuto mi confuse ancora di più. Era una vecchia foto che ritraeva me e Jack appena laureati. E se Jack fosse in pericolo? Forse l’obiettivo dell’assassino era quello di raggiungere il mio amico, e sapeva che l’unico modo per farlo era di attirarlo con la matematica. Ero pronto a corrergli incontro, ma mi bloccai. D’un tratto mi venne in mente a cosa poteva riferirsi il numero. Il numero 24 è ovvio, è il numero di anni che ci conosciamo. 24 anni fa, nell’aula magna dell’università feci la sua conoscenza. C’era solo un dettaglio che non riuscivo a capire, chi voleva la morte del mio amico? E qual era il movente? Corsi dentro la banca, scesi le scale ed arrivai al caveau. Le due guardie erano sdraiate sul pavimento, entrambe morte. Il caveau era ancora serrato, nessuno aveva rubato nulla. Sentii dei rumori elettronici provenire da un corridoio alla mia sinistra. Estrassi la pistola dalla fondina e percorsi il corridoio a passo felpato. Entrai nella stanza e vidi Jack accovacciato, intento a installare quello che apparentemente sembrava un ordigno esplosivo. Si voltò.

«Oh, ce l’hai fatta finalmente.»

«Hai progettato tutto tu?» Ero perplesso.

«Sì, credi forse che non ne sia in grado?» Disse con un sorriso.

Azionò il timer e si voltò. Erano le 12:10 e rimaneva esattamente un’ora di tempo.

«Non intendevo questo, solo che non credevo fossi in grado di agire con tale violenza.»

«Tu non sai quello che ho scoperto sulla razza umana. I miei studi in Alaska mi hanno portato oltre.»

«Spiegati.» Nel frattempo la razionalità prese il sopravvento sulla parte emotiva di me stesso e gli puntai la pistola alla nuca. Nonostante ciò appariva molto tranquillo.

«Lo sai che il numero di orsi polari è sceso da 1.43 orsi al chilometro quadrato a 0.85 in soli due anni?*»

«Cosa c’entra tutto ciò con la bomba attaccata alla parete?»

«Abbi pazienza e tutto ti sarà spiegato. Quando sono partito due anni fa il mio unico obiettivo era quello

di confermare le mie teorie, ma studiando approfonditamente l’ambiente che mi circondava, notai che si stava degradando. La flora e la fauna stavano subendo enormi danni, principalmente a causa nostra. “Stiamo bruciando il nostro futuro”, Quante volte l’avrai sentito dire? Ma non ti hanno mai parlato degli altri esseri viventi con cui condividiamo questo pianeta. Forse te ne parlano, ma la ragione principale è che siamo noi quelli in pericolo, il resto è superfluo. Ora comprenderai da dove deriva tutta la mia ira, ma perché ho commesso tutti questi crimini? Come ti ho già anticipato le mie ricerche mi hanno portato oltre ai semplici obiettivi che mi ero posto. Ho scoperto che quasi l’86% della razza umana ha un importante influenza sul degrado ambientale, un 10% ha una piccola influenza e lo scarso restante 4% ha un influenza trascurabile.* Secondo questi dati dunque delle persone che ho ucciso, è probabile che dodici stanno nella prima categoria, 1 o 2 stanno nella seconda e forse solo una è innocente.

«E non ti basta tutto questo? Vuoi uccidere ancora? Sei un pazzo!»

«Con questa bomba voglio applicare la teoria dei grandi numeri. Te la spiegherò con un esempio. Prendi una moneta, se la lanci dieci volte otterrai forse 6 croci e quattro teste, quindi in percentuale sarà un 60 a 40, ma se lanci la moneta 1000 volte i risultati potrebbero essere simili a 489 croci e 511 teste ed in percentuale si avvicinerà molto al 50 e 50. Questa è la teoria che voglio applicare, ho calcolato che facendo saltare la bomba in questo punto l’intero palazzo crollerà, e uccidendo molte persone mi avvicinerò alle percentuali da me trovate. Solamente 4 persone su 100 saranno innocenti.»

«Quindi vuoi sacrificare la vita di pochi per il bene di tutti? Sei sicuro che sia la soluzione corretta al problema? Non sei tu a parlare, Jack, è la voce di un pazzo.»

«È l’unica soluzione, la sensibilizzazione non basta a placare gli animi pieni d’odio e d’egoismo delle persone. Mi sono mostrato a te come colpevole perché volevo spiegarti di persona il motivo per cui tutta questa storia è cominciata, anche se sapevo che non lo avresti accettato comunque. Io sono tra quell’86% e dovrò morire in questo palazzo com’è giusto che sia.»

Lo fissavo dritto negli occhi. Non riuscivo a dire una parola, ancora non volevo crederci.

«Jonathan, devi lasciarmi finire il lavoro che ho cominciato, devo…»

Non lo lasciai finire. Stava per estrarre qualcosa dallo zaino, premetti il grilletto e il proiettile gli trapassò il cranio, l’ira e la rabbia che risiedeva nel mio spirito ebbe la meglio. Guardai il corpo senza vita di Jack cadere sul pavimento del caveau. Ancora non riuscivo a realizzare cosa fosse appena accaduto. Pochi secondi dopo arrivarono gli altri agenti richiamati dallo sparo. Il tempo sembrava essersi fermato. Mentre lo guardavo steso sul pavimento sotto all’ordigno esplosivo ed il sangue si dilagava intorno a lui, una lacrima scivolò via accarezzandomi la guancia.

Oggi, In quella camera vuota…

«Molto bene, bravo. Come ti senti adesso?» Chiede la strizzacervelli.

«Male, molto male.»

«Ci vuole tempo per riprendersi, hai perso il lavoro e l’unico vero amico che aveva. Non deve essere facile. Sono morte molte persone, ma non devi assumerti la colpa.»

«No, per niente. Ora, se vuole scusarmi, tolgo il disturbo. Ho già ricordato abbastanza.»

Lei sa benissimo cosa farò questa sera, sono sicuro, ma non penso mi fermerà. Mi guarda con aria triste e mi fa cenno di andare.

«Sei una brava persona, Jonathan.» Il suo ultimo tentativo di salvarmi.

Torno a casa. Non c’è nessuno ad aspettarmi, non c’è nessuno a cui importo ormai. Mi stendo sul divano verde in mezzo alla sala e dopo essermi bucato il braccio con una siringa di eroina, appicco il fuoco alla benzina sparsa sul pavimento. Mentre do pace alla mia anima fissando le travi di legno del soffitto annerirsi, affiorano nella mia mente i centinaia ricordi di Jack, appesantendomi il cuore. I respiri si fanno più affannati, gli occhi mi si appannano avvolti dalla fuliggine e lentamente mi spengo, come la fiamma di una candela annegata nella cera.